NO AGLI INCENRITORI, SI ALLA DIFFERENZIATA

Per saperne di più sulle alternative a discarica-inceneritore scarica questi documenti

mercoledì 23 novembre 2011

ASSEMBLEA 4 DICEMBRE


          

Domenica 4 Dicembre  Ore 17:30

ALL’ORATORIO SAN GIOVANNI BOSCO CAMPOMAGGIORE 

ASSEMBLEA PUBBLICA 

NO ALLA RIACCENSIONE DELL’INCENERITORE,
SI ALLA DIFFERENZIATA
  “Il nostro territorio è tra le zone maggiormente colpite dalle polveri prodotte dall’inceneritore”
  
Interverrà il Dott. Vantaggi, membro dell’associazione medici per l’Ambiente-Italia


COMITATO NO INCENERITORI-Terni
                                                        Info: noinceneritoritr@gmail.comwww.noinceneritoriterni.blogspot.com
facebook “no inceneritori tr”

venerdì 18 novembre 2011

TROPPE DIOSSINE NELL'ARIA COLPA DELLA DIFFERENZIATA

Quando la differenziata è a servizio degli inceneritori può diventrare un'arma a doppio taglio, per qusto è importante farla seriamente e sviluppare tutta la filiera del riciclo escludendo in tal modo l'incenerimento dannoso ed inutile e ridurre al minimo il conferimento in discarica.

Un artcolo di Candida Virgone da il Tirreno del 12/11/2011


Rsa, chiuso il vecchio termovalorizzatore Troppe diossina nell'aria, colpa della "differenziala" Un'immagine dell'impianto pisano di Ospedaletto di Candida Virgone PISA. Troppe dipssine nell'aria. Per questo lunedì scorso ha chiuso i battenti il vecchissimo impianto dell'inceneritore di Ospedaletto a Pisa, fl venerdì precedente era stata chiusa la linea due del termovalorizzatore, lunedì è stata la volta della uno e quindi di tutto. A causare le diossine, nell'analisi dell'azienda, sarebbe, paradossalmente, l'aumento della raccolta differenziata, una raccolta che di fatto in questi ultimi momenti, nell'area pisana, sta superando il 50% e che, con l'aumentato afflusso di una diversa tipologia di rifiuto, più secca e meno umida, causa una combustione elevata sì, che sarebbe elemento favorevole, ma più veloce e dunque più dannosa. Intanto, fa sapere la Società Geofor, che da anni gestisce il capezzale del moribondo impianto, ci sarebbe una data per la riapertura, annunciata qualche giorno fa a fine mese: si parla del 23, almeno per la linea uno, la prima a chiudere, mentre un incontro è stato chiesto alla Spa dalla gente di Ospedaletto, nell'ambito dell'ex circoscrizione, oggi Ctp, ed accordato per venerdì prossimo. «Secondo il piano interprovinciale - dice il presidente di Geofor, Paolo Marconcini - entro il 2021 Ospedaletto sarà chiuso, ma se si va avanti così sarà difficile arrivare a quella data. Si impone quindi un revamping delle linee, bisogna anticipare la manutenzione ordinaria su filtri, tubazioni, griglie, forni, monitoraggio esterno. Vanno messi in agenda 16-20 milioni di euro e vanno imposti alla Comunità di ambito. A livello di Ato e piani interprovinciali dei rifiuti bisogna cominciare a considerare la questione e nuove tariffe». Marconcini definisce il vetusto impianto della zona industriale pisana «un nonno ormai tenuto in vita con vaccini e punture», ma, replica un consulente ambientale per imprese italiane ed estere, il pisano Sergio Marchetti, «è un nonno che ad ogni colpo di tosse espelle veleni. Perché - aggiunge il consulente - gli amministratori cercano di ignorare che ci sono nuove tecnologice che operano a freddo, senza combustione, senza camini e quindi senza il minimo inquinamento e a costo zero? Perché ci si ostina a pianificare il futuro del territorio con grandi termoinquinatori trascurando la salute dei cittadini e spendendo inutilmente danaro? E se i termoinquinatori sono talmente nuovi che non inquinano, perché non costruirli senza ciminiera»

mercoledì 16 novembre 2011

Il neo ministro dell’Ambiente che fu indagato per inquinamento


Corrado Clini ha attraversato quasi tutti gli episodi controversi della storia dei tanti disastri ambientali in Italia. Nel 1996 viene coinvolto in un'indagine sull'incenerimento di rifiuti. Accusato per abuso d'ufficio la sua posizione sarà poi archiviata e lui scagionato
A Venezia lo ricordano bene Corrado Clini, medico del lavoro all’Asl dello stesso capoluogo, nominato oggi ministro dell’Ambiente del governo Monti. Nel novembre del 1989, quando le migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi sversati in Libano da aziende lombarde e riportati in Italia dalla Jolly Rosso arrivarono negli impianti Monteco di Marghera, Clini fu il primo a rassicurare tutti: “Bruciando due copertoni – spiegò – si provocherebbero danni maggiori all’ambiente di quelli che comporta questa operazione”. Un tono rassicurante che non è mai piaciuto alle organizzazioni ambientaliste, che gli hanno spesso rimproverato una eccessiva vicinanza con le industrie: “Proponiamo che il direttore generale dell’ambiente, Corrado Clini, sia nominato direttore generale all’industria”, dichiarava Greenpeace nel 1996, in polemica con le scelte del governo di allora sulla protezione dell’ozono.

Per un’intera vita professionale Clini si è occupato di rifiuti industriali e dell’impatto sull’ambiente e sulla salute delle attività più inquinanti nel nord Italia, partendo proprio da quella sua esperienza come medico del lavoro nella zona di Porto Marghera, zona tra le più inquinate del paese.

Il suo nome – come esperto del ministero dell’ambiente – attraversa quasi tutti gli episodi controversi della storia dei tanti disastri ambientali in Italia. Nel gennaio del 1990 accompagnava l’allora ministro dell’Ambiente Giorgio Ruffolo nell’area dell’Acna di Cengio, zona della provincia di Savona devastata da anni di attività industriale, i cui rifiuti sono poi in parte spariti ne meandri dei traffici italiani, da Pitelli fino a Pianura. Pochi mesi dopo Clini iniziava la sua lunga carriera di alto dirigente del ministero che da oggi conduce. Per diverso tempo Clini ha continuato a seguire l’opera di bonifica dell’area di Cengio. Nel 1992 dichiarava: “Non esiste alcun ritardo nei lavori”. Quell’area dopo vent’anni ancora attende una completa bonifica ed è considerato un sito d’interesse nazionale.

Come direttore generale si è occupato, sempre negli anni ’90, dell’Enichem di Manfredonia (gruppo Enimont), gestendo 300 miliardi di lire di fondi per il risanamento, terminato solo qualche anno fa. Nel 1992 inizia a occuparsi di energia, entrando a far parte del consiglio di amministrazione dell’Enea, ente che dopo poco prenderà in carico la gestione di alcuni controlli ambientali, con la creazione dell’Enea-disp.

Le cronache giudiziarie si occuparono di Clini per diverso tempo tra il 1996 e il 1997, quando il neo ministro dell’Ambiente venne indagato dalla procura di Verbania per l’inquinamento prodotto da un impianto di incenerimento di rifiuti della società svizzera Thermoselect. Clini – difeso dall’avvocato Carlo Taormina – chiese ed ottenne di trasferire il processo al Tribunale di Roma. Dopodiché la sua posizione fu completamente archiviata.



Negli ultimi anni l’alto dirigente, diventato ministro, ha iniziato ad occuparsi anche di biocarburanti, il business del millennio contestato a livello mondiale per le conseguenze ambientali sulle foreste tropicali, spesso attaccate per far posto alla coltivazione di semi destinati al mercato dei combustibili. Per diversi anni è stato presidente della Global Bioenergy Partnership, associazione che ha come scopo la promozione dell’uso dei biocarburanti. Ha mantenuto, però, l’interesse professionale per il mondo dei rifiuti, occupandosi di una vicenda denunciata dai missionari comboniani e dal Corriere della sera.

Nel 2007 una società italiana, la Eurafrica, aveva proposto la redazione di un progetto per il risanamento della discarica di Korogocho a Nairobi, pagato 700 mila euro dal ministero dell’ambiente italiano. Secondo una denuncia presentata da padre Alex Zanotelli quella società e quell’operazione presentavano moltissimi dubbi. Corrado Clini, che personalmente promosse il progetto come direttore del ministero dell’ambiente, rispose alle accuse dei comboniani con toni sprezzanti, scrivendo, dopo il blocco dell’intervento da parte di Pecoraro Scanio: “Forse disturbiamo “the lords of pauperty”, i cosiddetti benefattori di professione, che vivono sulla miseria dei disperati”.


Da IL FATTO QUOTIDIANO del 16/11/2011

VERGOGNA! NUOVO AMPLIAMENTO DELLE DISCARICHE UMBRE


E QUESTA SAREBBE LA STRATEGIA PER RAGGIUNGERE ALTI LIVELLI DI DIFFERENZIATA?
QUESTO E’ IL MODO PER CONTINUARE A RIEMPIRE DISCARICHE, USARE INCENERITORI E CREARE LA PERENNE SITUAZIONE DI EMERGENZA CHE GIUSTIFICHERA’ OGNI SCHIFEZZA!
Leggete l’articolo e indignatevi!

Gli impianti guadagnano circa 3 milioni di metri cubi. Raccolta differenziata, “sanatoria” per le multe ai Comuni inadempienti
Rifiuti, via libera alle discariche extra large
Ampliamenti per Orvieto, Magione e Città di Castello. Spoleto in esaurimento a metà 2012

PERUGIA - Le Crete di Orvieto,Borgo Giglione di Magione eBelladanza di Città di Castellocrescono di circa tre milioni di metri cubi. Col via libera agli ampliamenti, le discariche diventano extra large e allontanano dall’Umbria lo spettro dell’emergenza rifiuti che ha aleggiato sul cuore verde d’Italia nei primi mesi del 2010.
Secondo le stime del Piano regionale dei rifiuti, il sistema di raccolta umbro avrebbe rischiato il collasso tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, a meno che non fossero stati varati provvedimenti in grado di completare il ciclo dei rifiuti e quindi abbattere il problema della saturazione delle discariche. Quello dell’amplia – mento delle cubature è un primo passo anche se nessuno, dalla Regione in giù, nasconde la testa sotto la sabbia, ignorando che la soluzione del problema debba essere ricercata altrove. Semmai c’è chi, come il consigliere regionale Franco Zaffini, presidente del comitato di monitoraggio in consiglio regionale, accusa palazzo Donini di tenere un “atteg - giamento dilatorio, senza avere una visione di lungo periodo che affronti il nodo cruciale del problema, ossia la chiusura del ciclo con l’individuazione del sito per l’impianto di termovalorizzazione nel territorio perugino, peraltro messo nero su bianco dal piano regionale dei rifiuti”. Il cuore del problema rifiuti resta dunque legato alla condizione delle discariche. Sant’Orsola di Spoleto arriverà a saturazione - sembra - entro metà del 2012, mentre le altre discariche dovrebbero avere un’autonomia per i prossimi quattro o cinque anni. Per questo, Zaffini lancia l’accusa alla Regione di avere temporeggiato. Ricordando che i “pilastri” del piano regionale sono la termovalorizzazione della frazione residua e la raccolta differenziata che tocchi quota 70 per cento. E dell’applicazione delle sanzioni riviste per i comuni inadempienti rispetto alle percentuali previste per la raccolta differenziata ha discusso ieri la seconda commissione del consiglio regionale, che ha fornito il proprio parere sulla proposta diregolamento predisposta dalla Giunta di palazzo Donini.
All’unanimità, l’organismo di palazzo Cesaroni ha suggerito all’Esecutivo di prevedere, per i comuni che non avranno conseguito gli obiettivi minimi di raccolta differenziata (65 per cento per il 2012) e quindi sanzionabili, la possibilità di concertare un piano di rientro con la Regione atto a raggiungere gli obiettivi prefissati prevedendo la rideterminazione, la quantificazione o l’annullamento delle sanzioni nel caso di conseguimento dei risultati attesi. La richiesta formulata dal presidente del Cal, Leopoldo Di Girolamo, era invece di una proroga al 31 marzo 2012 dell’applicazione delle sanzioni ai comuni inadempienti.
Soddisfatto il presidente della Commissione, Gianfranco Chiacchieroni (Pd). Anche per il capogruppo del Pdl, Raffaele Nevi, è importante che si proceda “per innalzare i livelli di raccolta differenziata”. Nella legge regionale è previsto che, se a livello di Ati (Ambiti territoriali integrati) non vengono conseguiti gli obiettivi minimi stabiliti (65 per cento per gli anni 2012 e seguenti), sia applicata agli stessi Ati una sanzione da 2 a 5 euro per ciascuna tonnellata di rifiuti avviati a smaltimento in eccedenza, tenendo conto della popolazione del Comune, della quantità procapite dei rifiuti prodotti e della quota di raccolta differenziata.



Da IL GIORNALE DELL'UMBRIA dell'10-11-2011


lunedì 14 novembre 2011

Italia, ecco dove si muore di più


Ci sono luoghi in Italia, dove si vive di meno e ci si ammala di più e non sono né pochi né con pochi abitanti. A Brescia, per esempio, tristemente famosa per l’inquinamento causato dall’industria Caffaro, i morti con linfoma non-Hodgkin sono sopra la media regionale; se si vive a Massa Carrara c’è il 13% in più di probabilità di decesso rispetto al resto della Toscana. Questi luoghi si conoscono già e hanno un nome preciso: Sin, Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche. Sono le aree in cui l’inquinamento industriale degli anni 50-70 ha destato la preoccupazione del Ministero dell’ambiente, ma in cui non sono mai stati fatti dei seri interventi di risanamento radicale, bonifica appunto. In tutto, ce ne sono 57 sul nostro territorio. L’Istituto superiore di sanità (Iss) ne ha selezionati 44 (21 al Nord, 8 al Centro, 15 al Sud) e finalmente è andato ad analizzare i dati di mortalità per 63 diverse cause, nei 298 comuni che cadono all’interno di queste aree. Risultato: in 8 anni, dal 1995 al 2002, l’inquinamento ambientale potrebbe aver contribuito alla morte precoce di circa 10mila persone. Ci sono quindi 5 milioni e mezzo di italiani (poco meno di un decimo della popolazione) che, a seconda di dove vivono, hanno acquisito una probabilità di morire più alta degli altri. Questi sono i dati principali emersi dal progetto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento), presentato il 9 novembre a Torino durante il congresso annuale dell’Associazione italiana di epidemiologia, e pubblicato da Epidemiologia e prevenzione. Come dovremmo interpretare questi numeri? Un modo ce lo suggerisce Fabrizio Bianchi, epidemiologo del Cnr di Pisa che ha partecipato agli studi.
Fabrizio Bianchi, è stato finalmente accertato che in alcune aree si muore di più a causa di falde e suoli contaminati dalle attività industriali?
"Sì, la mortalità in eccesso in tutti i siti considerati è stata di circa 10mila persone in 8 anni, ma sono 3.500 i casi eccedenti per cui esistono delle prove scientifiche sulla correlazione tra patologie e specifiche condizioni di inquinamento ambientale. Questo è il dato più solido che si poteva ottenere con le conoscenze accumulate finora".
Cosa significa questa cifra?
"È un indicatore complessivo di sofferenza di salute che dovrebbe preoccupare non poco chiunque abbia responsabilità di governo, nazionale, regionale e locale, ovviamente senza confondere i diversi livelli di responsabilità. Infatti, che il dato sia quello più incerto di 10mila o quello più solido di 3.500 morti per inquinamento industriale, chiama in causa prima di tutto nozioni di equità, di diritto alla salute e di giustizia ambientale, tutti temi su cui l’Unione Europea ha chiesto da tempo la massima attenzione agli stati membri".
Come è stato possibile determinare la relazione tra morti e aree?
"Invece che raccogliere i dati e produrre risultati e poi cercare di motivarli, come spesso è stato fatto in studi epidemiologici, qui si è lavorato al contrario.
In oltre un anno di lavoro sono stati analizzati gli studi, si parla di centinaia, più attendibili sulle correlazioni tra inquinamento ambientale e decessi, poi per ciascuna possibile causa di mortalità è stato stabilito se le prove accumulate finora a livello internazionale fossero sufficienti, limitate o inadeguate, e sono state considerate solo le prime due categorie. In questo modo i risultati possono essere sottostimati ma si limitano interpretazioni soggettive basate su evidenze deboli: per quelle 3.500 morti premature in più rispetto a quanto atteso, la probabilità che il decesso sia stato causato dalle condizioni ambientali è alta, anche se non si può escludere il contributo di altre cause".

Si riferisce alle condizioni socio-economiche o ad altri fattori?
"I risultati, presentati separatamente per uomini e donne, tengono conto della struttura per età (che potrebbe essere diversa nei Sin rispetto alle popolazioni regionali di riferimento, ndr.) e delle condizioni socio-economiche. Molti altri fattori di rischio, come le abitudini di vita, non sono considerati, ma altri come fumo, alcol, occupazione, sono stati tenuti in considerazione per stabilire come possano influenzare le diverse cause di morte. Quindi il cittadino ha a disposizione anche questi dati, che non è cosa da poco".
Avete proceduto in questo modo per tutti le cause di morte e per tutte le categorie di rischio presenti nei siti?
"Nel supplemento Sentieri di Epidemiologia e Prevenzione sono riportati dati specifici e puntuali sui principali rischi legati alle discariche, all’amianto, alle presenza di industrie petrolchimiche e siderurgiche, di raffinerie, di inceneritori, di poli chimici, di centrali elettriche, di aree portuali, di miniere e cave. Purtroppo molti di questi agiscono in quelle aree e sulle popolazioni esposte da molti anni, dal dopoguerra in poi".
Cosa significa?
"Che alcuni siti continuano a essere inquinati da decenni e che stiamo risentendo dell’onda lunga anche di industrie chiuse 20 anni fa. Il caso di Massa Carrara è rappresentativo. Chiudere gli stabilimenti non basta, è assolutamente necessario procedere con le bonifiche. Se non verranno effettuati interventi complessivi di risanamento ambientale, le persone continueranno ad essere esposte agli inquinanti e quelle più vulnerabili e più suscettibili continueranno ad ammalarsi e a morire prematuramente. Finora è stato fatto molto sul versante della caratterizzazione dell’inquinamento e molto poco sul versante delle bonifiche, salvo eccezioni. Molte delle operazioni effettuate o in corso non sono di bonifica ma di contenimento degli inquinanti, sicuramente importanti ma non risolutive".
Lo studio andrà avanti?
"L’Istituto superiore di sanità ha previsto la continuazione e l’evoluzione di Sentieri: per due terzi dei siti considerati ci sono i dati dai registri dei tumori, e per circa la metà quelli sulle malformazioni congenite. Per tutti i Sin c’è la possibilità di considerare i dati dei ricoveri ospedalieri".
Come vive la separazione tra ricercatore e cittadino?
"Da ricercatore ritengo che sia necessario fare altre indagini, per avere un dato sui rischi ambientali per la salute sempre più affidabile e meno incerto. Questa necessità che sento è tutt’uno con quella di eliminare alla base i fattori di rischio riconosciuti e usare precauzione con quelli più incerti, per dirla in breve, studi epidemiologici e conseguente prevenzione: questo tiene bene insieme il mio essere ricercatore con i diritti e doveri di cittadino".
Ma in una fase di crisi economica, come pensa che sia possibile trovare le enormi risorse per fare tutte le bonifiche di cui parlate?
"Si tratterebbe di investimenti produttivi sul lungo periodo, come abbiamo indicato in un nostro recente studio su costi e benefici delle bonifiche dei Sin Gela e Priolo (pubblicato sulla rivista Environmental Health, ndr). Qui, abbiamo stimato che una bonifica radicale potrebbe prevenire ogni anno 47 morti premature, 281 casi oncologici e 2700 ricoveri in ospedale: da un punto di vista strettamente economico, la prevenzione dei tumori comporterebbe da sola un risparmio del 72% sulle spese di trattamento sanitario. Proprio perché il Paese è in ginocchio, sarebbe il caso di capire bene dove investire".

Il documento completo si può trovare su:
http://daily.wired.it/news/ambiente/2011/11/11/inquinamento-italia-luoghi-malattie-sentieri-15673.html?page=2#content